Le società iniziano ad aderire, sempre più, agli obiettivi ESG (Environmental Social Governance). L’unione Europea il 16 dicembre 2022 ha pubblicato in Gazzetta Ufficiale UE la Direttiva n. 2022/2464 in materia di Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), la quale modifica le Direttive Accounting, Transparency e Audit e il Regolamento Audit. La Direttiva CSRD riguarda la rendicontazione societaria di sostenibilità. Con essa aumentano le imprese che dovranno redigere, obbligatoriamente il Bilancio di sostenibilità, così da creare una finestra sulla società per clienti, produttori e investitori, in guisa da seguire e conoscere le scelte aziendali in termini di sostenibilità economica, ambientale e sociale. È proprio questo l’ambito dei criteri ESG, che acquistano sempre più importanza perché rappresentano l’azienda secondo parametri non finanziari al fine di valorizzarne l’impatto ambientale e sociale, cosicché gli stakeholder possano avere una visione completa sull’operato dell’azienda non solo dal punto di vista economico, ma anche in relazione agli impatti sul territorio e la comunità. Il Bilancio di Sostenibilità essendo una finestra sulla realtà aziendale, ne offre un panorama concreto su detti obiettivi.
L’introduzione della Direttiva CSRD incrementerà il numero delle aziende obbligate a redigere il Bilancio di Sostenibilità. Difatti dovranno adeguarsi le grandi imprese, quotate e non quotate in borsa, nonché le imprese non europee laddove ricorrano determinate condizioni e infine anche le PMI quotate. A tali soggetti, la Direttiva CSRD, e quindi l’obbligo di redigere e rendere pubblico il bilancio di sostenibilità, si applicherà in quattro fasi distinte: 1) nel 2025, comunicazione sull’esercizio finanziario 2024 per le imprese che attualmente già redigono una dichiarazione non finanziaria – contenuta nella relazione sulla gestione allegata al bilancio d’esercizio – ai sensi della Direttiva NFRD; 2) nel 2026, comunicazione sull’esercizio finanziario 2025 per le grandi imprese attualmente non soggette alla Direttiva NFRD; 3) nel 2027, comunicazione sull’esercizio finanziario 2026 per le PMI quotate (ad eccezione delle microimprese), gli enti creditizi piccoli e non complessi e le imprese di assicurazione captive; 4) nel 2029, comunicazione sull’esercizio finanziario 2028 per le imprese di paesi terzi che realizzano ricavi netti delle vendite e delle prestazioni superiori a 150 milioni di euro nell’UE, se hanno almeno un’impresa figlia o una succursale nell’UE che supera determinate soglie.
Occorre precisare che la rendicontazione sarà soggetta a revisione obbligatoria e dovrà attenersi ai regolamenti sulla Tassonomia UE riguardante le attività sostenibili. In più le aziende dovranno utilizzare standard uguali per tutti nella redazione dei report. In dettaglio sia gli standard GRI, SASB ma ancor di più gli ESRS di EFRAG che sono gli standard da utilizzare per una rendicontazione di sostenibilità.
Di conseguenza il Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie si è nuovamente espresso sul tema, abrogando il precedente orientamento, e statuendo sei orientamenti sui fattori ESG declinandoli nelle clausole di sostenibilità degli statuti delle società di capitali. In detti orientamenti si spazia dalla legittimità delle clausole che prevedono lo svolgimento di una attività economica con criteri diversi da quello del massimo profitto (A.B.1), per le Spa si spazia dalla clausola di destinazione di utili a finalità di sostenibilità (A.B.2), all’integrazione degli interessi degli Stakeholders nelle decisioni dell’organo amministrativo (A.B.3), alla clausola statutaria che impone agli amministratori obblighi di consultazione degli Stakeholders (A.B.4), alla valutazione delle performance degli amministratori (A.B.5) e infine alla clausola di gradimento e sostenibilità dei soci (A.B.6).
Prima di addentrarci all’interno di questi sei Orientamenti bisogna identificare le “clausole di sostenibilità” in quelle clausole che costituiscono espressione di ideali collettivi, valori sociali e principi etici, come la protezione dell’ambiente, la promozione del lavoro, la cura e il benessere dei dipendenti e della collettività, e in generale di un impegno di salvaguardia dei diversi interessi non economici implicati nell’attività di impresa, potendosi le medesime declinare non solo sul piano della perimetrazione dell’attività che costituisce l’oggetto sociale, ma anche sul piano delle modalità di conseguimento dello stesso, con funzione di definizione delle linee di condotta degli amministratori sia in forma impositiva di strategie o categorie di operazioni, che in forma preclusiva delle stesse. Occorre precisare che dette clausole si differenziano dalla previsione statutaria “pura” di eterodestinazione di utili (cioè, una clausola statutaria che imponga all’assemblea la destinazione di una parte degli utili netti annuali in beneficenza, senza che essa sia incompatibile con lo scopo di lucro). Inserendo le clausole di sostenibilità i vari interessi nascenti nell’esercizio dell’attività di impresa andranno a caratterizzare le modalità di svolgimento della stessa, generando un circolo virtuoso che, attraverso il bilanciamento dell’interesse dei soci alla massimizzazione del profitto con quelli degli stakeholders, integra il progresso sociale nel processo di sviluppo economico dell’impresa e consente nel lungo termine alla stessa di differenziarsi sul mercato, acquisendo efficienza e aumentando le proprie competitività e produttività.
Importante precisare che simili clausole statutarie di sostenibilità si riterranno legittime, anche in mancanza di adozione della qualifica di società benefit di cui all’art. 1, commi 376 e seguenti della L. 28 dicembre 2015 n. 208. Infatti, le società benefit hanno quale scopo quello di “promuovere la costituzione e favorire la diffusione” di società che perseguano, nell’esercizio dell’attività economica, finalità di “beneficio comune”. Da ciò, deve ritenersi ammissibile il perseguimento di finalità equipollenti al beneficio comune senza che ad esso siano ricollegabili i vantaggi reputazionali derivanti dall’utilizzo della denominazione “società benefit”, peraltro meramente facoltativo e, se abusivo, sanzionato ai sensi delle disposizioni in materia di pubblicità ingannevole e del codice del consumo.
In riferimento al modello azionario, nel quale la rigidità della struttura organizzativa circoscrive la possibilità che lo statuto attribuisca competenze gestorie agli azionisti, l’ammissibilità delle “clausole di sostenibilità” trova un limite sia sul piano funzionale, che sul piano endo-organizzativo. In merito, al primo, non possono essere revocati dall’autonomia statutaria il carattere produttivo dell’attività d’impresa e lo scopo lucrativo dell’iniziativa societaria. In merito, al secondo, il limite si ritrova nel principio di esclusività della funzione gestoria in capo all’organo amministrativo nella S.p.a., il quale non può manifestarsi in una mera attuazione di un programma prestabilito che identifichi una determinata attività nei singoli atti destinati a comporla.
Ne consegue che saranno ammissibili quelle clausole statutarie che si limitino ad inserire interessi diversi della tipica funzione lucrativa dell’istituto societario senza la compressione della stessa. Ad esempio, non sarà ammissibile, la previsione, tra quelle che costituiscono l’oggetto sociale, di attività ideali che affianchino, seppure in modo non prevalente, quelle economiche.
Per l’inserimento di clausole di sostenibilità bisogna utilizzare degli strumenti che agiscano sul piano della perimetrazione dell’attività economica la quale costituisce l’oggetto sociale. In guisa che, si vincoli l’organo gestorio inserendo un limite ai suoi poteri in base all’art. 2380 bis cod. civ., ovvero ex art. 2384, comma 2 cod. civ. Tali strumenti sono utili perché determinano le prerogative dell’organo amministrativo, senza però intaccare il principio di esclusività dei poteri gestori.
Perciò le clausole di sostenibilità possono identificarsi in merito alle modalità di conseguimento dello stesso oggetto sociale, come la manifestazione di principi etico-sociali che dovranno informare l’operato dell’organo amministrativo ovvero la definizione delle linee di condotta del medesimo organo, sia in forma impositiva che in forma preclusiva rispetto all’adozione di determinate strategie o categorie di operazioni. struttura. Occorre precisare che dette clausole rappresentando una sorta di “limitazione” o disciplina dei poteri dell’organo amministrativo incidono soltanto nei rapporti interni.
L’orientamento in merito alla legittimità delle clausole che prevedono lo svolgimento di una attività economica con criteri diversi da quello del massimo profitto afferma che “nel nostro ordinamento non sussiste alcuna disposizione positiva o principio di diritto che imponga agli amministratori di società lucrative di attuare l’oggetto sociale avendo riguardo al solo interesse dei soci alla massimizzazione dei profitti. Al contrario, l’art. 41, comma 2, Cost. dispone che l’esercizio di una qualunque attività economica, ossia la ricerca di un profitto, non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.”
Dal disposto dell’art. 41 ne consegue che le clausole dell’atto costitutivo/statuto che prevedono specifiche regole etiche e/o di sostenibilità che devono essere rispettate nella gestione della società, anche a scapito della massimizzazione dei profitti e della efficienza produttiva, sono legittime purché sia rispettato il fine di lucro da parte degli amministratori nella gestione. Occorre precisare che dette clausole integrano esclusivamente una modalità di perseguimento del fine di lucro senza aggiungere ad esso un ulteriore fine di utilità sociale, fine quest’ultimo di per sé estraneo al contratto di società come definito dall’art. 2247 c.c. e che pertanto non può essere inserito nell’oggetto sociale.
Il Comitato statuisce che è legittima la clausola statutaria che preveda la destinazione parziale di utili alla cura di interessi correlati alla natura dell’attività di impresa esercitata, a condizione che: 1) la finalità ideale non assuma connotati idonei a pregiudicare lo scopo lucrativo dell’iniziativa; 2) la destinazione e il relativo importo non siano predeterminati, essendo la funzione gestoria insuscettibile di essere ridotta a mera esecuzione di un progetto puntualmente determinato.
Vediamo come anche in detto caso è, sempre, l’organo amministrativo a determinare l’effettiva destinazione e l’importo da destinare, quest’ultimi determinati in base agli utili risultanti dal bilancio di esercizio sottoposto all’approvazione dell’assemblea, nel rispetto del limite massimo fissato ex ante nella clausola statutaria di destinazione oppure previa autorizzazione dell’assemblea ordinaria ai sensi dell’art. 2364, comma 1, n. 5 c.c., nel caso in cui sia richiesta dalla medesima clausola statutaria.
Con questi due orientamenti portano con sé profili innovativi in cui viene dato rilievo al bilanciamento degli interessi degli stakeholder con quelli dei soci nell’individuazione delle politiche di sostenibilità e nella loro concreta attuazione.
Nell’orientamento A.B.3 si ritiene “legittima la clausola statutaria che imponga agli amministratori di tenere conto degli interessi degli stakeholders nella delineazione delle politiche d’impresa e nella loro concreta attuazione”. Tuttavia, codesta clausola dovrà soddisfare requisiti di analiticità e specificità.
Nell’orientamento A.B.4 si afferma che sono “legittime le clausole statutarie che attribuiscono poteri di voice a determinati stakeholders mediante la previsione di luoghi di sistematica consultazione”. In tal modo sarà “legittima la clausola statutaria che imponga agli amministratori di consultarsi con comitati esterni o stakeholders individuati nella fase istruttoria preliminare alla decisione amministrativa ed altresì che subordini il potere degli amministratori di porre in essere determinate tipologie di operazioni al consenso o al parere favorevole di un comitato esterno o di stakeholders individuati”.
Dando lustro all’importante ruolo degli amministratori nel conseguimento degli obiettivi ESG, l’Orientamento afferma di ritenere “legittima la clausola statutaria che attribuisce ad un gruppo di esperti indipendenti la valutazione periodica della performance ambientale o sociale dell’impresa nonché quella che consente ai medesimi di determinare, in modo vincolante, una parte del compenso degli amministratori sulla base di dati parametri di sostenibilità delle politiche da questi adottate”. In detto caso accostare le remunerazione degli amministratori alle performance ambientali o sociali raggiunte può considerarsi uno strumento rilevante ai fini dell’incentivazione della sostenibilità all’interno dei processi decisionali della società.
Infine, viene ritenuta legittima la clausola di gradimento che introduca requisiti di carattere etico per l’assunzione delle partecipazioni sociali purché non sia dotata di eccessiva genericità nell’individuazione di detti requisiti. Detta clausola può essere utile ai fini di una selezione per l’ingresso di nuovi soci, oltre che a garantire un piano industriale con chiari obiettivi di sostenibilità.