La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 3936 del 13 febbraio 2024 statuisce il principio secondo cui la plusvalenza conseguita per effetto di una cessione di azienda a titolo oneroso, deve esser tassata anche nel caso in cui l’operazione sia stata risolta a seguito dell’inadempimento dell’acquirente.
Preliminarmente occorre rammentare che la disciplina relativa alle plusvalenze immobiliari è contenuta nell’art. 86 del Testo unico sulle imposte dirette (TUIR), D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, in cui al primo comma e secondo comma è specificato che concorrono a formare reddito le plusvalenze che sono realizzate mediante cessione a titolo oneroso e che l’ammontare della plusvalenza è costituito dalla differenza fra il corrispettivo, al netto degli oneri accessori di diretta imputazione, e il costo non ammortizzato del bene che ha generato la plusvalenza stessa. Continua il secondo comma affermando che “concorrono alla formazione del reddito anche le plusvalenze delle aziende, compreso il valore di avviamento, realizzate unitariamente mediante cessione a titolo oneroso”.
Il caso di specie riguardava un contribuente che aveva acquistato un’azienda nel 1999, rivenduta nel 2002 indicando in atto un corrispettivo superiore rispetto a quanto da lui pagato nel 1999.
L’Ufficio accertato che nella dichiarazione dei redditi non era stata dichiarata alcuna plusvalenza da cessione di azienda andava a notificare al contribuente un atto di accertamento contestando, ai sensi dell’art. 86 del TUIR, il mancato pagamento della plusvalenza dovuta a seguito della cessione dell’azienda. Il contribuente impugnava l’atto di accertamento asserendo che non si fosse generata nessuna plusvalenza in quanto l’acquirente dell’azienda aveva versato all’incirca la metà del prezzo pattuito, non il corrispettivo integrale. Il contribuente agendo in sede civile otteneva, dal Tribunale di Roma, la risoluzione della cessione di azienda per inadempimento dell’acquirente, con conseguente annullamento della ripresa.
Sulla base di dette circostanza, in prima battuta la Commissione Tributaria provinciale di Roma e successivamente la Commissione Tributaria Regionale del Lazio accoglievano la tesi del contribuente, ritenendo che, in mancanza dell’incasso del corrispettivo previsto non emergeva alcuna plusvalenza imponibile in capo al cedente.
In dettaglio, secondo i giudici tributari di appello, il fatto che il contratto di cessione di azienda era stato dichiarato risolto dal Tribunale comportava che il contratto stesso doveva considerarsi come mai stipulato e, quindi, non potevano ritenersi sussistenti i presupposti per il pagamento della plusvalenza.
I giudici della Corte di cassazione affermando il loro consolidato orientamento, hanno risolto la questio statuendo che “in tema di imposte sui redditi, la plusvalenza fiscalmente rilevante collegata alla cessione di un’azienda si realizza al momento della conclusione del contratto, mentre non hanno rilievo alcuno le vicende successive relative all’adempimento degli obblighi contrattuali, quali l’omessa percezione del prezzo o la sua eventuale rateizzazione, o l’estinzione dell’obbligazione per effetto di una transazione di carattere novativo, successivamente intervenuta. (Cass. n. 4365 del 23/02/2011; conf. Cass. n. 4366 del 23/02/2011; Cass. n. 14848 del 07/06/2018)”.
In conclusione, la plusvalenza si realizza nel momento in cui si verifica la cessione d’azienda, senza che assumano rilievo eventuali circostanze (come il mancato pagamento del corrispettivo e l’intervenuta risoluzione del contratto) verificatesi dopo la stipula dell’atto di vendita.
La Corte ha comunque concesso al contribuente, a seguito del mancato pagamento del prezzo, al diritto di iscrivere a bilancio la relativa minusvalenza.