Una recentissima pronuncia del Tribunale di Ravenna (Sentenza del 26 giugno 2025) segna un punto di svolta storico in materia di trasferimento d’azienda: rompe un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato: per la prima volta in sede nazionale, viene riconosciuto il diritto del lavoratore di opporsi al trasferimento del proprio rapporto di lavoro nell’ambito di un’operazione di trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda.
L’oggetto della pronuncia ha riguardato la cessione di un ramo d’azienda con oltre 100 dipendenti da un istituto bancario a una società di nuova costituzione. Una nutrita rappresentanza dei lavoratori ha impugnato la cessione, dichiarando il proprio dissenso e chiedendo la prosecuzione del rapporto con il cedente. Il Tribunale ha accolto il ricorso, richiamando direttamente il diritto europeo e superando l’interpretazione tradizionale dell’art. 2112 c.c.
Difatti, secondo l’impostazione tradizionale, la cessione d’azienda comporta una successione automatica nei rapporti di lavoro in essere al momento del trasferimento, con esclusione di qualsivoglia necessità di consenso da parte dei lavoratori. Tale impostazione si fonda sull’idea che il trasferimento sia un effetto legale e necessario, funzionale alla tutela occupazionale dei dipendenti, e non una cessione contrattuale soggetta a libera negoziazione.
Il Tribunale di Ravenna, invece, disattende consapevolmente questa impostazione, fondando il proprio ragionamento su una lettura conforme al diritto dell’Unione Europea e in particolare alle direttive 77/187/CEE, 98/50/CE e 2001/23/CE, nonché alla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, richiamando espressamente le sentenze Katsikas, Merckx e Temco.
Secondo questa nuova interpretazione, il trasferimento del rapporto di lavoro non può avvenire automaticamente contro la volontà del lavoratore. In presenza di un’esplicita opposizione da parte del lavoratore al trasferimento del suo contratto, il rapporto di lavoro non si trasferisce al cessionario. Al contrario, il lavoratore ha diritto a rimanere alle dipendenze del cedente, salvo che non si configuri una risoluzione consensuale o per iniziativa unilaterale.
Il riferimento agli artt. 1372 e 1406 c.c. è fondamentale: viene in tal modo evidenziato che, in assenza di una previsione normativa speciale che imponga il trasferimento anche contro la volontà del lavoratore, valgono le regole generali in tema di cessione del contratto, che richiedono il consenso del contraente ceduto. Questo sposta l’accento sul principio dell’autonomia contrattuale e della libera determinazione del lavoratore.
L’approccio del Tribunale di Ravenna comporta un ribaltamento della logica protettiva alla base dell’art. 2112 c.c., che da sempre è stato letto in senso favorevole alla continuità del rapporto e alla stabilità occupazionale, anche contro eventuali opposizioni. Tuttavia, la nuova interpretazione riconosce una forma di autodeterminazione del lavoratore, in linea con un diritto del lavoro sempre più attento ai profili soggettivi della persona.
Inoltre, la sentenza solleva interrogativi rilevanti in tema di conflitto tra norme nazionali e diritto UE, spingendo verso una lettura evolutiva delle fonti interne alla luce dei principi comunitari. La decisione potrebbe, in futuro, generare ricadute applicative significative, soprattutto nei casi in cui i trasferimenti aziendali siano finalizzati a operazioni di riorganizzazione societaria, con la creazione di nuove realtà aziendali ad hoc per l’assorbimento di rami produttivi.
In conclusione, la pronuncia del Tribunale di Ravenna apre un fronte giurisprudenziale potenzialmente innovativo, in grado di incidere profondamente sulle prassi consolidate in materia di trasferimento d’azienda. Il riconoscimento del diritto del lavoratore di opporsi alla cessione del proprio contratto rafforza la tutela della libertà individuale, ma pone anche nuove sfide operative e interpretative per le imprese e per i consulenti del lavoro, che dovranno tenere conto del possibile mutamento del quadro normativo e giurisprudenziale.
Restiamo in attesa di conferme (o smentite) da parte dei tribunali superiori, ma intanto questa sentenza rappresenta un precedente significativo che le aziende non possono più ignorare.