Le operazioni aventi per oggetto la cessione di una pluralità di beni materiali e/o immateriali possono essere inquadrate nella nozione di trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda che, come tale, si pone fuori dal campo applicativo dell’imposta sul valore aggiunto.
Oltre allo schema normativo nazionale disciplinato dall’art. 2, comma 3, lett. b), del D.P.R. 633/1972, vi è una copiosa produzione di giurisprudenza nazionale di legittimità e di merito, della prassi ufficiale dell’Amministrazione Finanziaria, che ha risolto alcuni casi pratici seguendo le direttive dell’Unione Europea e i principi generali da essa derivati, questi ultimi oggetto del nostro contributo.
Nell’ambito della normativa unionale, la cessione di azienda e di ramo di azienda è disciplinata dall’art. 19 della Direttiva 2006/112/CE (quale rifusione dell’art. 5, n. 8) della sesta Direttiva 77/388/CEE), il quale prevede che “in caso di trasferimento a titolo oneroso o gratuito o sotto forma di conferimento a una società di una universalità totale o parziale di beni, gli Stati membri possono considerare che non è avvenuta alcuna cessione di beni e che il beneficiario succede al cedente”, neutralizzando, così, l’applicazione dell’Iva e riconoscendo agli Stati membri la facoltà di adottare disposizioni armonizzate per ottenere tale scopo.
Detto principio è consolidato dalla Corte di Giustizia UE (Causa C-497/01) secondo la quale tutti i trasferimenti di un’azienda o di una parte autonoma di un’impresa, rispondono ai requisiti imposti dall’art. 19 della direttiva Unione Europea ai fini IVA.
In ottemperanza ai principi unionali, la Corte di Giustizia ha precisato che il cessionario dell’azienda deve dimostrare di gestire l’azienda o la parte di azienda trasferita e non semplicemente liquidare stessa.
Tale principio non è condizione preliminare per l’applicazione dell’art. 19 della direttiva IVA bensì è conseguenza del fatto che non vi è stata cessione di singoli beni (imponibili) ma di un’intera struttura organizzativa.
In ambito nazionale il dettato comunitario è stato recepito dall’art. 2, comma 3, lett. b) del DPR 633/72 il quale pone le cessioni d’azienda o ramo d’azienda fuori dal campo di applicazione dell’IVA in questi termini: “non sono considerate cessioni di beni … le cessioni e i conferimenti in società o altri enti … che hanno per oggetto aziende o rami di aziende”.
L’Amministrazione Finanziaria ritiene, inoltre, che il complesso dei beni ceduti debba essere organizzato per l’esercizio di un’impresa.
La citata lettera b) del comma 3 dell’art. 2 del DPR 633/72 è stata oggetto di modifica ad opera del DLgs 313/1997. In particolare, il decreto ha introdotto nella lettera b) la parte relativa a “i conferimenti in società e altri enti, compresi i consorzi e le associazioni o altre organizzazioni”.
La disposizione è intesa ad attrarre anche i conferimenti di singoli beni, non costituenti azienda o rami di azienda, intendendosi, questi ultimi, come complessi di beni e servizi collegati tra loro in modo da costituire un’autonoma organizzazione produttiva, mentre resta confermata l’esclusione dal tributo per i conferimenti e per le cessioni aventi ad oggetto aziende o rami di aziende.
A differenza della norma europea, la disposizione interna non fa riferimento alcuno al principio della continuazione da parte del cessionario dell’attività trasferita.
Peraltro, la giurisprudenza di legittimità riterrebbe addirittura irrilevante detto principio. Il datato orientamento della Suprema Corte secondo cui “la cessione d’azienda nella sua accezione civilistica, recepita da diritto tributario, va apprezzata sulla base di parametri obiettivi, non rilevando l’intenzione, in ipotesi paradossalmente espressa nello stesso negozio traslativo, di smembrare l’azienda che si acquista ovvero da destinare a diversa attività produttiva, non restando inalterata l’oggettiva portata, del trasferimento riguardante un complesso di beni organizzati” è stato condiviso da successive pronunce.
Gli orientamenti della Corte di Cassazione trovano, però, alcune limitazioni nelle interpretazioni dell’Amministrazione Finanziaria che, in linea con il dettato normativo europeo e con le pronunce della Corte di Giustizia UE, ha precisato che i criteri identificativi del complesso aziendale, la cui cessione è estranea al sistema IVA per quegli Stati membri che, come l’Italia, fanno uso della facoltà concessa dall’art. 19 Direttiva IVA 2006/112/CE, di considerare che in tali casi non sia avvenuta alcuna cessione di beni e che il beneficiario succede al cedente.
Meritano menzione, solo a titolo esemplificativo e non esaustivo, le risposte all’interpello n. 15/E dell’11 gennaio 2022; n. 151/E del 23 marzo 2022; n. 318/E del 31 maggio 2022, in cui l’Agenzia delle Entrate attribuisce rilievo al presupposto territoriale ovvero il complesso aziendale ceduto dev’essere interamente esistente nel territorio di un singolo Stato. Solo in quest’ultima evenienza, sarebbe possibile escludere la rilevanza IVA concessa dall’art. 19 Direttiva n. 2006/112/CE atteso che quel determinato Stato ha esercitato la facoltà concessa dalla norma unionale.
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Può affermarsi, in conclusione, che le possibili divergenze interpretative dovrebbero prescindere dal luogo in cui l’operazione si realizza, dando rilievo al profilo soggettivo e oggettivo dell’operazione e, nello specifico, concentrandosi sull’oggetto unitario della cessione e sulla sua idoneità allo svolgimento autonomo dell’attività d’impresa.
In effetti, l’(ir)rilevanza IVA delle operazioni in questione ai fini impositivi pare giustificata dal fatto che, con il trasferimento dell’azienda, non vi è alcun consumo immediato e imponibile che, invero, si realizzerà solo quando il compendio ceduto sarà operativo ed effettuerà diverse e ulteriori cessioni di beni o prestazioni di servizi.