Il tema inerente alle modalità di conteggio delle astensioni nell’ambito delle votazioni delle delibere assembleari ha assunto un grande peso a seguito della riforma del diritto societario del 2003.
La questione investe principalmente la “valenza” da attribuire al voto di coloro i quali, pur non essendo obbligati ad astenersi (astensione legale), esprimono volontariamente in assemblea la propria astensione (astensione volontaria).
Il legislatore sul tema non si è mai pronunciato espressamente lasciando una lacuna che è stata colmata dall’interprete attraverso l’applicazione analogica di norme codicistiche.
Dottrina e giurisprudenza si dividono tradizionalmente in due diverse posizioni:
1) secondo la prima, le azioni degli astenuti non vanno computate nel quorum deliberativo perché, altrimenti, si finirebbe per dare all’astensione il valore di un voto contrario;
2) secondo l’altra, l’astensione non può essere parificata alla espressione di consenso con la conseguenza per cui l’astensione va computata nel quorum deliberativo, nel senso di farne abbassar la soglia.
Il secondo filone, che considera il voto di astensione volontaria in termini di voto “non favorevole” e, quindi, di fatto come voto contrario, ha trovato maggiori consensi sulla base:
Alla luce del predetto panorama interpretativo si desumerebbe un principio generale in base al quale il voto di astensione volontaria si dovrebbe considerare come concorrente alla formazione del quorum costitutivo dell’assemblea e come voto che, non potendo essere considerato come voto favorevole e, in quanto tale, non utile alla formazione del quorum deliberativo richiesto, deve essere parificato al voto negativo.
La soluzione sembrerebbe essere accolta anche dal Notariato milanese che con le massime 133 e 134, in tema di voto dei soci che volontariamente decidono di astenersi, ha precisato che “È legittimo prevedere nello statuto di una spa che nel calcolo del quorum deliberativo dell’assemblea ordinaria, nella prima e nelle successive convocazioni, non si tenga conto delle astensioni anche al di fuori dell’ipotesi contemplata dall’art. 2368, comma 3, c.c. (astensione per conflitto d’interessi).”, nonché che “E’ legittimo prevedere nello statuto di una srl che nel calcolo del quorum deliberativo dell’assemblea non si tenga conto delle astensioni volontarie, fatti salvi i casi in cui la legge prescriva quorum deliberativi minimi inderogabili rapportati ad aliquote del capitale sociale”.
Del resto, in un sistema in cui il processo di formazione del consenso non si fonda sulla prevalenza dei voti favorevoli dei votanti, bensì sulla prevalenza dei voti favorevoli dei presenti o sul raggiungimento di quorum costitutivi e deliberativi, l’astensione da atteggiamento oggettivamente neutrale, invece, assume spesso valenza contraria all’approvazione della deliberazione assembleare.
Infine, al fine di evitare dubbi interpretativi, può anche ritenersi ammissibile una clausola statutaria che escluda gli astenuti dal calcolo del quorum deliberativo limitatamente all’assemblea ordinaria, se si considera che nelle convocazioni successive alla prima o, ove ammessa, in unica convocazione, essa delibera a maggioranza, qualunque sia la parte di capitale rappresentata: non essendo imposto alcun quorum costitutivo né alcun quorum deliberativo rapportato al numero totale delle partecipazioni, prevedere che il consenso assembleare si formi sulla maggioranza dei voti espressi, e dunque al netto delle astensioni, non appare pertanto in contrasto con la ratio del sistema della votazioni adottato dal legislatore.