A partire dal 7 giugno 2026, tutte le aziende europee dovranno conformarsi a una nuova disciplina radicale: sulla trasparenza retributiva, un pilastro legislativo volto a colmare il gender pay gap e ad affermare, nei fatti e non solo nei principi, la parità salariale tra uomini e donne per lo stesso lavoro o per lavori di pari valore.
Uno dei cardini fondamentali della direttiva è il principio della “parità salariale per lavoro di pari valore”, già sancito dall’articolo 157 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).
Questa norma, già approvata dal Parlamento Europeo ed entrata formalmente in vigore nel 2023, impone a imprese pubbliche e private una profonda revisione dei propri modelli organizzativi, gestionali e culturali. Non si tratta solo di un adempimento, ma di una vera trasformazione del concetto stesso di equità retributiva.
Nonostante siano passati oltre 60 anni dall’art. 157 del Trattato sul Funzionamento dell’UE, che già sanciva il diritto alla parità retributiva, la realtà ha dimostrato che la sola enunciazione del principio non basta. Il divario salariale tra generi persiste in modo significativo in tutti i Paesi europei, Italia inclusa, dove la retribuzione media delle donne è ancora sensibilmente inferiore a quella degli uomini.
Questa direttiva interviene quindi non come una dichiarazione di intenti, ma come una struttura operativa vincolante, che impone trasparenza, accesso ai dati e obblighi di rendicontazione in capo alle imprese. L’obiettivo è misurare il gender gap per ridurlo e, infine, eliminarlo.
Ma cosa cambia per le aziende e in quali settori.
– Selezione del personale: serve più trasparenza
Uno degli aspetti più dirompenti riguarda il modo in cui le aziende potranno gestire i processi di assunzione. La direttiva introduce il divieto di chiedere al candidato la retribuzione attuale o quella desiderata, per evitare che disparità pregresse si perpetuino nel tempo.
Allo stesso tempo, sarà obbligatorio indicare la fascia retributiva prevista già negli annunci di lavoro, anche per posizioni interne. In altre parole: la trasparenza salariale non è più un’opzione, ma un obbligo. Questo richiede una revisione completa delle prassi HR (Human Resources – Risorse Umane), affinché siano coerenti con i nuovi obblighi e fondate su determinati criteri oggettivi e neutrali: tra questi, la direttiva menziona espressamente le competenze, l’impegno, le responsabilità e le condizioni di lavoro, nonché, se del caso, qualsiasi altro fattore pertinente al lavoro o alla posizione specifici.
Dalla direttiva non si evince un esplicito obbligo delle imprese di comunicare di default (cioè, a prescindere da una specifica richiesta dei lavoratori o delle loro rappresentanze) i criteri adottati; in tal senso, però occorre attendere la normativa interna di recepimento, che potrebbe introdurre apposite previsioni in tal senso.
– Trasparenza e monitoraggio interno
La direttiva impone alle aziende un vero e proprio esercizio di accountability retributiva. Le imprese saranno infatti chiamate a:
- valutare e rendicontare periodicamente le retribuzioni, anche per genere;
- garantire strumenti interni di confronto, attraverso parametri chiari per misurare il valore effettivo del lavoro;
- riconoscere il diritto dei lavoratori a conoscere la retribuzione media per posizioni analoghe alla propria.
In presenza di uno scostamento superiore al 5% tra generi, l’impresa sarà obbligata ad avviare un confronto sindacale formale e a intraprendere misure correttive. Non basteranno più soluzioni di facciata: serviranno azioni concrete, documentabili e negoziate.
-Relazioni sindacali e gestione condivisa della parità
La Direttiva promuove un nuovo modello di governance, in cui la parità salariale è un tema strutturale di dialogo con le rappresentanze sindacali.
Ciò implica:
- la determinazione dei criteri retributivi oggettivi e neutri tramite un accordo tra imprese e sindacati;
- la creazione di meccanismi di confronto periodico sui temi retributivi;
- la valutazione congiunta di politiche e strumenti aziendali;
- la condivisione di dati e metriche che consentano di individuare e correggere le disparità.
Si tratta di un cambiamento anche culturale: il tema della parità retributiva non sarà più solo un valore dichiarato, ma un obiettivo operativo condiviso, al centro delle dinamiche aziendali.
Ma quali saranno le conseguenze in caso di inadempimento da parte delle imprese. La direttiva prevede un impianto sanzionatorio solido e incisivo:
- risarcimenti dissuasivi per i lavoratori vittime di discriminazione retributiva, anche oltre il danno economico subito;
- azioni cautelari per ottenere, ad esempio, l’obbligo di pubblicare un report o modificare una policy discriminatoria;
- inversione dell’onere della prova: sarà l’azienda a dover dimostrare di aver rispettato gli obblighi;
- più tutele in giudizio per il lavoratore, anche in caso di azione respinta, se avviata in buona fede.
In sostanza, non si tratta più solo di una responsabilità morale, ma di un dovere giuridico, la cui violazione potrà costare molto, anche in termini reputazionali.
Le imprese dovrebbero attivarsi, da subito, per arrivare pronte alla scadenza normativa – e per evitare errori che potrebbero rivelarsi onerosi – predisponendo un piano di adeguamento interno, che includa:
- il conseguimento della Certificazione della parità di genere e l’adozione del Rapporto biennale sulla situazione del personale, che già oggi permettono un primo monitoraggio sui temi retributivi;
- una mappatura delle retribuzioni attuali e dei ruoli aziendali, valutati in ottica di pari valore;
- una revisione dei processi di selezione, promozione e attribuzione dei superminimi;
- un aggiornamento delle policy aziendali e dei contratti individuali, anche per integrare la dimensione della trasparenza;
- un percorso formativo interno, per sensibilizzare chi si occupa di risorse umane, amministrazione e relazioni sindacali, e l’avvio di un dialogo strutturato con le rappresentanze dei lavoratori, in preparazione alle verifiche future.
La Direttiva Europea 970/2023 non è soltanto un adempimento normativo: è un’occasione per migliorare la trasparenza, valorizzare le competenze e costruire ambienti di lavoro più equi e competitivi.
Le aziende che sapranno anticipare il cambiamento, investendo oggi in strumenti di equità e trasparenza, saranno anche quelle più pronte ad affrontare il futuro del lavoro.
La rivoluzione è in atto. Ora spetta alle imprese decidere se guidarla, oppure rincorrerla.
Le scadenze da ricordare:
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Recepimento della Direttiva nel diritto nazionale, probabilmente con decreto legislativo
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Primo report retributivo:
• per aziende con 150–249 dipendenti (ogni 3 anni);
• per aziende con oltre 250 dipendenti (ogni anno)
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