La cessione di ramo d’azienda ha per oggetto il trasferimento di uno specifico settore dell’intera azienda, composto da un insieme di beni coordinabili tra loro e funzionali a un ciclo produttivo.
Con sentenza n. 12450/2024 pubblicata il 7 maggio 2024, la Corte di Cassazione afferma il principio di diritto per il quale occorre valutare gli elementi di contesto esterni al contratto per qualificare e provare l’effettività dell’operazione realizzata, in particolare nell’ipotesi di prestazione scomposta in plurime cessioni invece integranti, nel caso concreto, una cessione d’azienda esclusa dal campo di applicazione IVA.
L’Agenzia delle entrate emetteva avviso di accertamento, nei confronti di una società capogruppo esercente attività alberghiera, con il quale recuperava l’IVA indebitamente detratta in relazione ad una compravendita immobiliare da qualificarsi, nel caso concreto, in cessione d’azienda come tale non soggetta ad IVA.
Ne derivava che la vendita degli immobili integrava, in realtà, la cessione dell’azienda alberghiera già nella disponibilità di altra società controllata del gruppo.
Per identificare la nozione di cessione d’azienda utile ai fini tributari, ossia al fine di verificare se l’operazione o le operazioni in questione debbano essere assoggettate all’imposta di registro oppure all’imposta sul valore aggiunto, l’accertamento dev’essere effettuato secondo una valutazione globale di tutte le circostanze del caso concreto senza che assumano rilievo i limiti dello schema negoziale dell’atto dettati dall’art. 20 del D.P.R. 131/1986 in materia d’imposta di registro.
Ai fini della detraibilità dell’Iva applicata all’operazione, occorre accertare quale sia l’effettiva sostanza del risultato giuridico posto in essere; per l’imposta di registro, invece, risulta sufficiente l’esistenza di un atto e la sua riconducibilità ad uno specifico schema legale.
Tale differenza ha una immediata conseguenza concreta: ai fini IVA occorre valutare la sostanza economica degli elementi testuali ed extratestuali dell’intera prestazione economica; ai fini dell’imposta di registro, la prova rimane ancorata all’atto negoziale, per la cui valutazione si tiene conto soltanto degli elementi testuali.
Sul piano teorico il principio di alternatività pone un nesso tra le due imposte: se è dovuta l’Iva, viene esclusa l’imposta di registro in misura proporzionale.
In senso stretto, la norma dispone che quando per l’operazione economica in questione sia stata accertata la debenza dell’IVA, l’imposta di registro sia dovuta in misura fissa.
Nel caso deciso dalla Suprema Corte di Cassazione, a nulla incide la scelta del contribuente di optare per il versamento dell’imposta di registro quando, nel caso specifico, non rileva il mero versamento IVA sulla fittizia compravendita immobiliare, invero cessione d’azienda fuori campo IVA, stante l’obbligo per il contribuente di pagare il tributo previsto dalla legge e non quello scelto in base a considerazioni soggettive.
I Giudici di legittimità enunciano un principio di diritto sostanziale, applicato alla rilevanza fiscale dell’operazione economica posta in essere, escludendo la detrazione in presenza di un’operazione reale non imponibile ai fini IVA per la quale bisogna avere riguardo ai concreti effetti della prestazione economica compiuta e non ai meri aspetti formali dell’atto concluso.