Con sentenza del 6 febbraio 2023, n. 3511, la Suprema Corte torna a pronunciarsi sui criteri che consentono di limitare la platea dei lavoratori interessati dalla riduzione di personale ad un determinato reparto, settore o sede territoriale aziendale.
La fattispecie oggetto di causa trae origine da una pronuncia della Corte d’Appello, che ha respinto il reclamo di una società avverso la sentenza del Tribunale dichiarante l’illegittimità del licenziamento collettivo intimato ad un lavoratore, in ragione della “immotivata e irragionevole limitazione della platea dei dipendenti a talune sedi aziendali, anche a fronte di un progetto di ristrutturazione che ricomprendeva tutto il complesso aziendale e in assenza di allegazioni e prova circa la infungibilità (e dunque, la impossibilità di reimpiego in altri settori aziendali) del lavoratore”, ordinandone la reintegrazione in servizio e condannando la società al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni dal recesso alla reintegra.
Nello specifico, la Suprema Corte, ha rilevato che – ferma la regola generale di cui all’art. 5, comma 1, L. n. 223/1991, secondo cui “l’individuazione dei lavoratori da licenziare” deve avvenire avuto riguardo al “complesso aziendale” (Cass. n. 5373/2019) – il datore di lavoro, in presenza di oggettive esigenze tecnico-produttive, può circoscrivere la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale agli addetti ad un determinato reparto o settore o sede territoriale.
Tuttavia, è necessario che le predette esigenze tecnico-produttive siano coerenti con le indicazioni contenute nella comunicazione di cui all’art. 4, comma 3, L. n. 223/1991, e siano indicate con espressa specificazione delle unità produttive da sopprimere. Ciò in quanto, prosegue la Suprema Corte, la delimitazione della platea dei lavoratori destinatari del provvedimento di messa in mobilità o di licenziamento non può essere il frutto di un’unilaterale determinazione del datore di lavoro, ma deve essere giustificata dalle esigenze organizzative esposte nella comunicazione di cui all’art. 4, comma 3, L. n. 223/1991, così da consentire alle organizzazioni sindacali di verificare il nesso di causalità fra le ragioni determinanti l’esubero e le unità lavorative che l’azienda intende concretamente espellere.
Infine, la Cassazione con riferimento alla questione sollevata in ricorso del trasferimento di sede geografica dei lavoratori interessati dalla procedura, ha ribadito il proprio consolidato orientamento secondo il quale, ai fini dell’esclusione della comparazione con i lavoratori di equivalente professionalità addetti alle unità produttive non soppresse e dislocate sul territorio nazionale, non assume rilievo il fatto che per il mantenimento in servizio di un lavoratore appartenente alla sede soppressa sia necessario il suo trasferimento in altra sede, con conseguente aggravio di costi per l’azienda. Del resto, precisa la Corte, la sopravvenienza di costi aggiuntivi connessi al trasferimento non è contemplata tra i parametri di cui all’art. 5 della L. n. 223/1991.