La sostenibilità è oramai una norma. La normativa di riferimento (Direttiva 2022/2464) è entrata ufficialmente in vigore il 5 gennaio 2023 e sostituisce la precedente “Non Financial Reporting Directive – NFRD” (Direttiva 2014/95/UE), attuata in Italia dal Decreto legislativo 30 dicembre 2016 n. 254, concernente l’obbligo di comunicazione di informazioni di carattere non finanziario per le imprese di grandi dimensioni.
L’Unione europea ha emanato disposizioni chiare, che vincolano imprese ed operatori finanziari, finalizzate all’attuazione di un sistema regolamentare integrato che coinvolgerà un numero sempre maggiore di destinatari obbligati a rendicontare le performance ESG.
La rendicontazione di sostenibilità dovrà essere inclusa, in una sezione appositamente contrassegnata, nella relazione sulla gestione – redatta dagli amministratori ai sensi dell’articolo 2428 del codice civile – costituendo una sezione appositamente contrassegnata all’interno della relazione stessa.
Le imprese saranno tenute a specificare i principali impatti legati alle attività dell’impresa e alla sua catena del valore sulla società e sull’ambiente (prospettiva inside-out) e i rischi e le opportunità dei fattori di sostenibilità che influenzano lo sviluppo e la performance aziendali (prospettiva outside-in).
Il cambio di rotta non è solo normativo, ma principalmente culturale caratterizzato dal passaggio dal tradizionale paradigma economico di tipo “estrattivo”, in cui il valore di input economico, sociale e ambientale che l’impresa necessita per funzionare, è maggiore di quanto l’impresa è in grado di generare come output, ad un paradigma di tipo “rigenerativo” dove, invece, il sistema economico, ed in primis le aziende, sono progettati e agiscono per creare valore condiviso per la società e per rigenerare la biosfera: il break-even non è più esclusivamente economico-finanziario, ma è calcolato sulla triplice prospettiva, ossia economica, sociale e ambientale.
Non solo una scelta di compliance, quindi, ma una scelta di sopravvivenza.
Appare evidente, difatti, che la rigida misurazione degli impatti extra-finanziari e la divulgazione dei risultati da parte delle aziende svolgono un ruolo chiave sia per la definizione del nuovo concetto di “sviluppo economico” sia per le stesse strategie imprenditoriali di medio lungo periodo, in grado non solo di creare profitto, ma anche di costruire un capitale reputazionale che possa rivelarsi concretamente competitivo nell’attrazione (tra gli altri) degli investitori e consumatori che sempre di più abbracceranno la cultura della sostenibilità.
Da tale punto di vista l’Italia è riuscita a distinguersi nel panorama legislativo internazionale come primo Stato sovrano, dopo gli Stati Uniti, a promuovere una Legge ad hoc, dedicata alle Società Benefit (L. 208/2015, commi 376-383).
Con questa nuova forma giuridica di impresa, si estende la finalità originaria contratto sociale delineato all’articolo 2247, cod. civ., con cui “[…] due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di una attività economica allo scopo di dividerne gli utili” individuando, nelle Società Benefit, quelle società che “nell’esercizio di una attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse”.
Lo status giuridico Società Benefit permette, quindi, alle aziende che lo adottano, di includere all’interno dell’oggetto sociale la creazione di valore non solo per i soci ma per tutti i portatori di interesse, ufficializzando così l’impegno dell’azienda, con corrispondenti obblighi del management, nel perseguire effetti positivi o nel ridurre quelli negativi, nel processo produttivo e nelle strategie aziendali.
Gli investitori dal canto loro, sono sempre più attenti ai fattori ESG nelle loro decisioni di investimento e le aziende che rispettano questi criteri, possono attrarre maggiori investimenti. Questa pressione può spingere le aziende a migliorare le loro performance ESG. L’accesso agli strumenti finanziari ESG specifici come i green bond, come i fondi di investimento ESG o come altre formule di investimento fa sì che anche aziende non obbligate alla rendicontazione non finanziaria si stiano adeguando a fornire dati relativi al loro impegno in termini di sostenibilità aziendale, attraverso i bilanci di sostenibilità, orientati dagli standard ESG e forniti su base volontaria. Difatti, al di là degli obblighi di legge, la redazione dei bilanci e delle informazioni di sostenibilità (DNF e ESG), può avvenire anche su base volontaria, ed è fortemente raccomandato farlo.