Il D.Lgs. 231/01 introduce nel nostro ordinamento una responsabilità di tipo penale in capo alle persone giuridiche (aziende, società, enti, ecc…) qualora un fatto illecito, penalmente rilevante e rientrante nel catalogo dei reati presupposto, sia commesso da un soggetto incardinato nella società e dalla cui consumazione sia derivato un interesse o vantaggio per l’ente stesso, anche se non direttamente coinvolto nella commissione del reato.
Il detto decreto, nel definire l’ambito soggettivo di applicazione della normativa, all’art.1 prevede: “Le disposizioni in esso previste si applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica”, con esclusione, quindi, delle imprese individuali, le quali, anche se dotate di propria organizzazione interna, non sono considerati enti.
Da qui la questione se la disciplina in esame possa applicarsi anche alla società unipersonale, la quale, seppur considerata soggetto giuridico autonomo e distinto dalla persona fisica dell’unico socio, dotata di un proprio patrimonio, cui la legge riconosce, in presenza di determinati presupposti, una personalità diversa rispetto a quella della persona fisica, di frequente non presenta differenze qualitative con l’impresa individuale.
In particolare la società con un unico socio, che pure sottende un interesse patrimoniale prettamente individuale, è considerata giuridicamente un ente autonomo da quest’ultimo, all’interno del quale viene formata la volontà negoziale secondo precise regole organizzative, che acquista diritti e assume obblighi secondo regole di imputazione proprie, al pari di ogni società pluripersonale.
Le imprese individuali, di contro, seppur possono anche avere un’organizzazione interna estremamente complessa, non sono considerati enti e dunque, per ciò solo, sono escluse dall’ambito di applicazione della disciplina sulla responsabilità amministrativa degli enti.
Sul tema è recentemente intervenuta la Suprema Corte di Cassazione (Cass. Pen., Sez. III, 24 ottobre 2024, n. 42611), la quale, confermando il proprio orientamento, ha affermato che «in tema di responsabilità da reato degli enti, le società unipersonali a responsabilità limitata rientrano tra gli enti assoggettati alla disciplina dettata dal d.lgs. 9 giugno 2001, n. 231, essendo, a differenza delle imprese individuali, soggetti giuridici autonomi, dotati di un proprio patrimonio e formalmente distinti dalla persona fisica dell’unico socio». Secondo i giudici di legittimità occorre “evitare che la persona fisica, da una parte, si sottragga alla responsabilità patrimoniale illimitata, costituendo una società unipersonale a responsabilità limitata, e, al tempo stesso, eviti l’applicazione del d. lgs. n. 231, sostenendo di essere una impresa individuale. Il fenomeno è quello della creazione di persone giuridiche di ridottissime dimensioni allo scopo di frammentare e polverizzare i rischi economici e normativi». Ne consegue la necessità di «accertare in concreto se, in presenza di una società unipersonale a responsabilità limitata, vi siano i presupposti per affermare la responsabilità dell’ente; un accertamento che non è indissolubilmente legato a criteri quantitativi, cioè di dimensioni della impresa, di tipologia della struttura organizzativa della società, quanto, piuttosto, a criteri funzionali, fondati sulla impossibilità di distinguere un interesse dell’ente da quello della persona fisica che lo governa».
La questione non si pone nei casi di società unipersonale partecipata da una società di capitali o di società unipersonali che evidenzino una complessità e una patrimonializzazione tali da rendere percettibile, palpabile, l’esistenza di un centro di imputazione di interessi giuridici autonomo ed indipendente rispetto a quello facente capo al singolo socio.
La Cassazione ha, così, chiarito che anche per le società unipersonali a responsabilità limitata trova applicazione la responsabilità da reato ai sensi del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, confermando il proprio orientamento interpretativo e precisando che, nell’accertamento della responsabilità dell’ente, occorre verificare se sia individuabile un interesse sociale distinto da quello dell’unico socio, tenendo conto dell’organizzazione della società, dell’attività svolta e delle dimensioni dell’impresa, nonché dei rapporti tra socio unico e società.
Proprio la natura delle società unipersonali, quali enti dotati di personalità giuridica ed autonomia patrimoniale, ha indotto la giurisprudenza ad affrontare un altro aspetto controverso in tema di applicazione della normativa 231.
La Corte di Cassazione, infatti, con la recente sentenza n. 10930 depositata il 19 marzo 2025, è tornata a pronunciarsi sulla questione del conflitto di interessi che può sorgere qualora il legale rappresentante dell’ente sia altresì indagato o imputato del reato presupposto ai sensi del D.lgs. 231/2001.
Sul punto la Suprema Corte, nel ribadire la soggettività giuridica delle società unipersonali e la necessaria distinzione tra la società con socio unico e l’impresa individuale al fine di una corretta e piena applicazione delle norme in materia di responsabilità amministrativa degli enti, ricorda che l’art. 39 del D.lgs. 231/2001 – che disciplina il c.d. rapporto di rappresentanza, ossia il legame tra ente e rappresentante legale – stabilisce che “l’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo”. Tale norma risponde all’esigenza di garantire l’assenza di qualsiasi conflitto di interessi tra la difesa della persona fisica e quella della persona giuridica, con la conseguenza che il rappresentante legale dell’ente, qualora indagato per il medesimo reato presupposto, versando in una situazione di conflitto di interessi, non potrà né rappresentare la società nel processo a suo carico né nominare il difensore della persona giuridica.
Il divieto di rappresentanza di cui all’art. 39 D.lgs. 231/2001 è assoluto e non ammette deroghe, in quanto il legale rappresentante versa iuris et de jure in una condizione di conflitto di interessi con l’ente. Tale proibizione trova giustificazione nel fatto che “il rappresentante legale e la persona giuridica si trovano in una situazione di obiettiva ed insanabile conflittualità processuale, dal momento che la persona giuridica potrebbe avere interesse a dimostrare che il suo rappresentante ha agito nel suo esclusivo interesse o nell’interesse di terzi ovvero a provare che il reato è stato posto in essere attraverso una elusione fraudolenta dei modelli organizzativi adottati, in questo modo escludendo la propria responsabilità e facendola così ricadere sul solo rappresentante” (Cass. Pen., Sez. Unite, 28 maggio 2015, n. 33041).
Principio, questo, che trova piena applicazione anche nel caso di società unipersonali, dove, accertata l’esistenza di un soggetto giuridico autonomo e distinto dalla persona fisica e dotato di un patrimonio proprio, la commistione fra legale rappresentante e società non esclude il potenziale conflitto d’interessi.
Alla luce delle superiori considerazioni si appalesa quanto mai necessaria, anche per le società unipersonali, l’adozione di un Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo ex D.Lgs 231/01 e l’istituzione di un Organismo di Vigilanza che ne monitori l’applicazione e l’aggiornamento, essendo, questo, l’unico presidio idoneo affinché l’imprenditore possa prevedere dei meccanismi di tutela preventiva, come l’indicazione di un soggetto espressamente delegato alla nomina del difensore dell’ente in circostanze di conflitto d’interessi, e svolgere la propria attività in conformità ai precetti legislativi.