Quando si parla delle interconnessioni tra la sorveglianza sanitaria e il rapporto di lavoro che intercorre tra il lavoratore e il datore di lavoro, comunemente lo si fa con riferimento alle conseguenze dell’eventuale giudizio di inidoneità e quindi in relazione alle problematiche legate all’applicazione dell’art.42 del D.Lgs.81/08.
In questo contributo, invece, riteniamo di trattare il tema relativo alle reciproche implicazioni e ai collegamenti tra l’istituto della sorveglianza sanitaria, quale “obbligo” penalmente sanzionato previsto dalla normativa prevenzionistica, e le “obbligazioni” civilistiche – generate dal rapporto di lavoro – a carico del datore di lavoro e del lavoratore.
Obblighi e obbligazioni
Occorre anzitutto fare una premessa.
In materia di salute e sicurezza sul lavoro, con riferimento ai soggetti destinatari dei relativi obblighi, i rapporti tra privati in termini di “obbligazioni” dell’uno nei confronti dell’altro vanno guardati alla luce della cornice legislativa – che è fonte di “obblighi” – nell’ambito della quale essi sono inseriti.
In particolare, l’obbligo il precetto legislativo si inserisce nei rapporti e nei contratti individuali, istituendo nuove ed inderogabili obbligazioni a carico del datore di lavoro. Alcune di queste (e soprattutto quella contenuta nell’art.2087 c.c.) hanno un aspetto caratteristico, che è quello di costituire contemporaneamente obbligazioni ed obblighi a carico del datore di lavoro, con il risultato che il “debito” che ne scaturisce ha contemporaneamente natura contrattuale e legale.
Ciò trova la sua ragion d’essere nella garanzia della sicurezza e salute sul lavoro quale “garanzia che deriva da necessità sociali e trova oggi il suo fondamento principale nella rilevanza costituzionale del lavoro. Essa opera sia di fronte allo Stato, sia nei rapporti intersoggettivi, funzionando – in relazione a questi ultimi – come limite di ordine pubblico all’autonomia privata.”
Vediamo ora qualche recente applicazione di questi principi con riferimento all’ambito della sorveglianza sanitaria.
In particolare, il recesso era stato adottato per “essersi [lei] rifiutata di effettuare la visita medica nelle giornate del 12.9.2017 e del 19.9.2017”.
Secondo la Corte d’Appello, il duplice rifiuto opposto dalla lavoratrice di sottoporsi a visita medica “configurava una grave insubordinazione, in quanto tale sanzionabile con il licenziamento senza preavviso, rientrando tra i doveri, previsti dal D.Lvo n.81/08 del dipendente, quello di sottoporsi ai controlli sanitari previsti nel detto decreto o comunque disposti dal medico competente”.
Già da tali considerazioni si deduce la rilevanza che la sorveglianza sanitaria riveste – per tutti i motivi visti in premessa – nell’ambito del sistema giuridico nel suo complesso, sia a livello penale che civile.
Nello specifico, la Corte ha rigettato il ricorso avanzato da una lavoratrice la quale chiedeva l’annullamento del licenziamento per giusta causa che le era stato intimato per assenze ingiustificate dal lavoro per più giorni consecutivi.
Era emerso che “la lavoratrice si era collocata autonomamente in ferie alla scadenza del periodo di comporto, senza formulare alcuna richiesta di autorizzazione al loro godimento”.
In pratica, secondo la ricorrente, il rifiuto di recarsi al lavoro era giustificato dalla mancata sottoposizione della stessa da parte del datore di lavoro alla visita medica di cui sopra.
Inoltre la ricorrente “censura la sentenza impugnata per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto che presupposto per l’applicazione di tale ultima disposizione fosse la presenza in azienda del lavoratore, mentre dal tenore letterale di essa era dato chiaramente desumere che il reingresso nel sistema produttivo del dipendente, che per motivi di salute fosse rimasto assente per un periodo di oltre sessanta giorni continuativi, dovesse essere necessariamente preceduto dall’effettuazione della visita medica.”
Tali argomentazioni non trovano accoglimento da parte della Corte d’Appello, secondo la quale non poteva ritenersi “che la società datrice di lavoro si fosse resa inadempiente all’obbligo di sorveglianza sanitaria, nell’ipotesi di cui alla lett.e-ter) dell’art.41, co.2, d.lgs.n.81/2008 (obbligo di “visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione”), dovendo la visita medica effettuarsi, in tale ipotesi, prima della concreta assegnazione del lavoratore alle mansioni, che è momento non coincidente con la ripresa del lavoro e cioè con la formale presentazione nel luogo di lavoro”.
In sostanza, “il lavoratore, dopo un periodo di malattia protratto per oltre sessanta giorni, può, in assenza di visita medica, legittimamente rifiutarsi, ex art.1460 cod. civ., di eseguire le mansioni incompatibili con il suo stato di salute, posto che l’omissione della visita medica costituisce grave e colpevole inadempimento del datore di lavoro, ma non può rifiutarsi di ritornare al lavoro e continuare ad assentarsi, come invece era accaduto nella specie.”
Secondo la Cassazione, che ha rigettato il ricorso della lavoratrice, la norma su richiamata “va letta – secondo un’interpretazione conforme tanto alla sua formulazione letterale come alle sue finalità – nel senso che la “ripresa del lavoro”, rispetto alla quale la visita medica deve essere “precedente”, è costituita dalla concreta assegnazione del lavoratore, quando egli faccia ritorno in azienda dopo un’assenza per motivi di salute prolungatasi per oltre sessanta giorni, alle medesime mansioni già svolte in precedenza, essendo queste soltanto le mansioni, per le quali sia necessario compiere una verifica di “idoneità” e cioè accertare se il lavoratore possa sostenerle senza pregiudizio o rischio per la sua integrità psico-fisica.”
Da ciò “deriva che, ove nuovamente destinato alle stesse mansioni assegnategli prima dell’inizio del periodo di assenza, egli può astenersi ex art.1460 cod. civ. dall’eseguire la prestazione dovuta, posto che l’effettuazione della visita medica prevista dalla norma si colloca all’interno del fondamentale obbligo imprenditoriale di predisporre e attuare le misure necessarie a tutelare l’incolumità e la salute del prestatore di lavoro, secondo le previsioni della normativa specifica di prevenzione e dell’art. 2087 cod. civ.; sicché la sua omissione, integrando un inadempimento della parte datoriale di rilevante gravità, risulta tale da determinare una rottura dell’equilibrio sinallagmatico e da conferire, pertanto, al prestatore di lavoro una legittima facoltà di reazione.”
Al contrario, “non è invece consentito al prestatore di astenersi anche dalla presentazione sul posto di lavoro, una volta venuto meno il titolo giustificativo della sua assenza (come nella specie, la ricorrente avendo superato il periodo di comporto): presentazione che – come rilevato esattamente nella sentenza impugnata – è momento distinto dall’assegnazione alle mansioni, in quanto diretto a ridare concreta operatività al rapporto e ben potendo comunque il datore di lavoro, nell’esercizio dei suoi poteri, disporre, quanto meno in via provvisoria e in attesa dell’espletamento della visita medica e della connessa verifica di idoneità, una diversa collocazione del proprio dipendente all’interno della organizzazione di impresa.”