Il Jobs Act è noto come una delle misure più controverse del governo Renzi 2014-2016, identificandosi come una riforma del diritto del lavoro in Italia. L’obiettivo è stato quello di flessibilizzare questo particolare mercato, tentando di ridurre la disoccupazione e incentivando le imprese ad assumere.
Il nome è l’acronimo di “Jumpstart Our Business Startups Act”, in riferimento a una legge già ideata e resa attiva durante il governo Obama nel 2012 e indirizzata alle piccole imprese.
L’idea di base, introdotta dallo stesso Renzi durante il periodo da neosegretario del Partito Democratico, prevedeva in primis l’introduzione di un contratto unico dotato di tutele crescenti. Oltre ciò, anche la creazione di un’agenzia nazionale per l’impiego e di un assegno di disoccupazione (chiamato NASPI).
Quali sono stati gli effetti principali? Innanzitutto, la possibilità da parte del datore di lavoro di licenziare un dipendente, anche con contratto a tempo indeterminato, senza giusta causa tramite un indennizzo. In seguito, la rimodulazione dei contratti di lavoro dipendente e la creazione di un piano di incentivi e decontribuzione per le imprese, per favorire assunzioni a tempo indeterminato.
Focus della norma è stata l’abolizione dell’art. 18, che prevedeva il reintegro di un lavoratore in caso di licenziamento illegittimo. Nel settembre 2018 la Corte Costituzionale ha bocciato la norma nella sua interezza, che stabiliva l’indennità che sarebbe toccata al lavoratore in caso di licenziamento ingiustificato. Corrispondeva infatti al risarcimento fisso di due mesi di stipendio per ogni anno di anzianità, da un minimo di 4 a un massimo di 24 mesi.
Per rimediare alle criticità riscontrate anche dai sindacati, era stato approvato dal primo governo Conte (nel luglio 2018) Il decreto Dignità. È stata ridotta da 36 a 24 la durata massima dei contratti e un costo contributivo crescente dello 0,5% a partire dal secondo rinnovo. Inoltre, le possibili proroghe contrattuali sono scese da 5 a 4 e sono stati alzati i limiti minimi e massimi di risarcimenti (da 6 a 36 mesi). Tuttavia, la Consulta ha dichiarato inammissibile questo genere di indennità, legata esclusivamente all’anzianità di servizio, definendola contraria ai principi di ragionevolezza e uguaglianza.