Introduzione
Il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di cui al D.Lgs. n. 14/2019, oltre ad incidere sugli istituti tipici del diritto fallimentare, ha inciso anche sulla disciplina della transazione fiscale.
L’intervento riformatore sta sollevando, tuttavia, nuove difficoltà interpretative, in quanto iniziano ad emergere evidenti difetti di coordinamento che potrebbero sfociare anche in profili di incostituzionalità delle norme.
In particolare, si rileva un difetto di coordinamento tra il termine di 60 giorni previsto dall’art. 44, comma 1, lettera a), del Codice della crisi, entro il quale il debitore deve depositare la proposta di concordato preventivo l’accordo di ristrutturazione dei debiti oppure il piano omologato, e quello di 90 giorni previsto dall’articolo 63, comma 2 del nuovo Codice, entro il quale deve essere intervenuta l’eventuale adesione dei creditori pubblici ai fini dell’omologazione.
I problemi interpretativi legati all’art. 63 e 44 del nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza
La transazione fiscale e previdenziale, una particolare procedura avente natura transattiva (che si instaura nell’ambito del concordato preventivo e nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione del debito) ha l’obiettivo di consentire all’imprenditore in stato di crisi o di insolvenza di ottenere una riduzione e/o una dilazione dei debiti tributari e previdenziali accertati dagli enti impositori. A norma dell’articolo 63, comma 2-bis, del Codice, il tribunale può omologare forzosamente la transazione fiscale anche in mancanza di un accordo con l’Agenzia delle Entrate, se il soddisfacimento offerto è conveniente e l’adesione del Fisco è determinante ai fini del raggiungimento delle soglie di efficacia della procedura (pari al 60% dell’importo di tutti i debiti, o, se l’accordo è agevolato, del 30% di tale importo).
Tuttavia, ai fini della suddetta omologazione forzosa, il tribunale dovrà attendere che i creditori pubblici abbiano avuto a disposizione 90 giorni di tempo dal deposito della proposta di transazione, per esaminarla ed esprimersi su di essa, scegliendo di aderirvi o meno.
Pertanto, il debitore dovrà tempestivamente formulare la proposta di transazione all’amministrazione finanziaria e solo dopo che siano decorsi 90 giorni dal deposito di tale proposta, in caso di mancanza dell’adesione del Fisco, potrà essere presentata la domanda di omologazione forzosa presso il competente tribunale. L’art. 63, comma 2, del Codice della crisi, mal si concilia con quanto previsto dall’articolo 44, comma 1, lettera a), del Codice della crisi, il quale prevede che il tribunale, su domanda del debitore di accedere a una procedura di regolazione concordata, se richiesto, fissa un termine compreso tra trenta e sessanta giorni, prorogabile su istanza del debitore in presenza di giustificati motivi e in assenza di domande per l’apertura della liquidazione giudiziale, fino a ulteriori sessanta giorni, entro il quale il debitore deposita la proposta di concordato preventivo con il piano, l’attestazione di veridicità dei dati e di fattibilità e la documentazione di cui all’articolo 39, commi 1 e 2, oppure gli accordi di ristrutturazione dei debiti, con la documentazione di cui all’articolo 39, comma 1.
Il mancato coordinamento delle suddette norme si ravvede nell’ipotesi in cui è già pendente una domanda per l’apertura della liquidazione giudiziale, poiché in tale ipotesi, quando il debitore ha depositato una proposta di concordato preventivo ovvero uno degli accordi di ristrutturazione dei debiti, il Tribunale fissa un termine compreso tra 30 e 60 giorni, non prorogabili, entro cui il debitore dovrà depositare il piano, l’attestazione di veridicità dei dati e di fattibilità e la documentazione di cui all’articolo 39, commi 1 e 2.
Tale termine non è, tuttavia, coordinato con quello previsto dall’art. 63, comma 2, del C.C.I., essendo il primo più breve (30 o 60 giorni) rispetto a quello dei 90 giorni. Ciò significa che in tale ipotesi, non sarà possibile per il debitore ottenere l’omologa forzosa della transazione fiscale da parte del Tribunale, e financo ottenere una risposta nei termini da parte delle amministrazioni finanziarie. La previsione di un termine di 30 o 60 giorni non prorogabile, in pendenza di una domanda di liquidazione giudiziale, si fonda sull’esigenza di scoraggiare l’utilizzo del concordato come strumento per ottenere un differimento dalla trattazione della domanda di liquidazione giudiziale. Pur essendo comprensibile la volontà del legislatore di voler evitare la proposizione concordati o di accordi di ristrutturazione dei debiti finalizzati esclusivamente a dilatare la richiesta di liquidazione, resta il problema di far coincidere i termini e dunque rendere compatibili i due strumenti, l’omologazione forzosa della transazione fiscale e la richiesta di un concordato o di un altro strumento di negoziazione, in pendenza di una domanda di liquidazione giudiziale. Certo è che allo stato al debitore viene preclusa la possibilità di poter ottenere l’omologa forzosa della proposta di transazione fiscale in pendenza di una domanda di liquidazione giudiziale, con conseguenti dubbi sulla costituzionalità delle norme in esame.
Considerazioni conclusive
Posto quanto sopra, al fine di poter risolvere questa impasse, deve essere sommessamente rilevato come l’impianto normativo disciplinante siffatta ipotesi sembrerebbe richiedere quantomeno un intervento correttivo, onde evitare i prevedibili contrasti interpretativi cui le norme daranno origine, stante la criticità rilevata. Il legislatore dovrà, dunque, trovare un modo che possa permettere di superare questa tensione tra gli interessi pubblici e quelli privati, garantendo la concreta applicabilità dell’istituto. Infatti, vero è che il debitore non ha diritto ad accedere indiscriminatamente a tutti gli strumenti di regolazione della crisi, tuttavia, risulta discriminatorio differenziare il trattamento normativo (in maniera così incisiva), tra debitori che hanno subito un’istanza per l’apertura della liquidazione giudiziale – che peraltro ne avrebbero maggior interesse – ed il resto delle società, anche tenendo conto che l’esposizione verso le amministrazioni pubbliche nella maggioranza dei casi rappresenta la parte più consistente dell’esposizione debitoria. In definitiva, in assenza di futuri coordinamenti delle richiamate norme si rischia di limitare fortemente l’accesso alla regolazione della crisi, così tradendo lo spirito della nuova riforma della crisi d’impresa.